Osservando mio padre domenica a cena, alle prese con una fetta enorme di cocomero, ho avuto la sensazione che il rapporto con il cibo sia letteralmente cambiato.
Il rapporto con il cibo per gli over sessanta è cosa super seria, non che non lo sia per me ma in modo completamente differente. Voglio provare ad analizzare l’approccio a tuttotondo dell’anguria; frutto squisito, coltivato mantenendo invariato nel corso degli anni il metodo produttivo ma ciò nonostante ha visto variare notevolmente la sua relazione con il consumatore.
Personalmente ogni anno vivo con grande attenzione l’arrivo di questo frutto sul tavolo della mia cucina e faccio dell’arte della selezione un vero punto di forza. Come riconoscere un’anguria buona da una meno buona?
Innanzitutto, la si acquista solo ed esclusivamente nel periodo: Maggio – Settembre; se poi aspetti Giugno limiti notevolmente l’errore e ne guadagni in sapore.
Poi, una volta trovata sul banco del mercato, bisogna saper valutare il suo livello di maturazione. In che modo? Bhè, personalmente se vedo una mezza fettina aperta chiedo l’assaggio a caldo e con l’aiuto del mio “ricordo base” vado a ripercorrere il sapore a freddo, modalità ghiacciaia, oppure comincio ad annusare il picciolo. Amo sentire l’intenso profumo anche da frutto chiuso.
La buccia deve essere tesa e non avvizzita. Poi inizio a battere: il suono non deve essere sordo, ma piuttosto nitido.
La mia anguria dovrà essere sufficientemente pesante, segno che all’interno vi è una buona quantità di acqua e che quindi il frutto non è asciutto.
In famiglia il vero esperto dell’anguria era nonno Rosolino, come selezionava il cocomero lui non lo selezionava nessuno, era un vero amante della colazione fatta a pane e anguria. Ricordo con intensità quelle mattine in cui, dopo averla estratta dal frigo, con cura ne toglieva i nocciolini e assaporandola mi spiegava tutti proverbi legati ad essa.
In dialetto milanese mi ripeteva che mangiarla al mattino procurava una crescita rapida dei capelli, tuttora non trovo nessuna spiegazione sul web che confermi il detto di nonno ma io gli credevo e continuo a credere tutt’ora che sia cosi. In realtà quello che era certo e lo è tuttora sono le elevate proprietà benefiche confermate dalla scienza.
Negli anni post guerra il cibo doveva essere prima di tutto abbondante e la fetta d’anguria di nonno, non contravveniva alla regola; il suo frutto acquistato era sempre enorme! me lo ricordo come fosse ieri, quando nonno rientrava dal mercato, lodava i suoi acquisti dal contadino. Come comprava lui non comprava nessuno! Ecco, modestia a parte, non puntava sulla varietà, sulle forme strane o sui fronzoli ma solo al rapporto qualità-quantità.
Se parliamo di Anguria in qualità e quantità non possiamo certo dimenticare i chioschi degli angurai. Molto di moda quando ero piccino, ora leggermente più vintage a Milano come in Romagna, trovano ancora il loro perché quando il sole, il caldo e l’afa prendono il sopravvento. In quel momento, c’è un frutto in particolare che, mangiato bello fresco, risolleva corpo e spirito: E’ l’anguria!
In Toscana, “cocomero” viene spesso sostituito il termine dialettale “popone”. Il legame fra il frutto ed il cetriolo è naturale: il termine “cocomero” indica proprio l’ortaggio come nei paesi anglofoni dove il cetriolo viene chiamato “cucumber”.
Al Sud, va in scena il “mellone ‘e acqua” mentre il “mellone ‘e pane” è quello che noi chiamiamo comunemente melone.
Evviva la confusione che fa andar fuori di melone!
Ma come vive un settantenne questa “tonda” evoluzione?
Se prima c’era il classico cocomero tondo tondo e bislungo, oggi cominciamo a trovare quelle cubiche, facili da impilare, e persino quella piramidali di un agricoltore di Tsukigata (Giappone), di cui 16 esemplari sono stati venduti all’equivalente di 400 euro.
Chissà come reagirebbe nonno davanti a tanta varietà!
Sicuramente, avendo vissuto tempi magri, apprezzerebbe il fatto che nemmeno la buccia si butta via: oggi, c’è chi prepara le sue bucce in una salamoia aromatizzata con l’aneto e altre spezie creando il “pepene murat”, una specialità della Moldavia romena.
Per rimanere in tema di tradizione ho recuperato da un’amica palermitana, dotata anche lei di una meravigliosa nonna cuoca, una ricetta che ho scoperto e apprezzato proprio in terra sicula, grazie Lucia per averla condivisa con noi —-> IL GELO DI MELLONE
Ora vi saluto con un sorriso grande quanto una fetta di cocomero,
buona giornata!
Ps. E’ la seconda volta che incontriamo Lucia in redazione ..
ricordi i suoi Anelletti chi Vruoccoli! — > eccoli qui!